Frequenza di rimbalzo e qualità del traffico in Google Analytics (ovvero: cos’è e perché ti serve comprenderla a fondo)

Più complesso di quanto sembra

Valutare la frequenza di rimbalzo in Google Analytics
©fatmawati achmad zaenuri/Shutterstock.com

La frequenza di rimbalzo (o bounce rate) in Google Analytics è uno di quei parametri tanto semplici da comprendere a prima vista quando complessi da interpretare nel lungo periodo. E rappresenta uno dei metodi migliori per iniziare a valutare la qualità del traffico sul tuo sito.

In sostanza, funziona così:

  • l’utente arriva su una tua pagina
  • terminata la lettura, non prosegue la navigazione su una seconda pagina

Più nel dettaglio, l’utente non interagisce con alcun elemento sulla pagina – che sia tracciato da Analytics, come eventi, azioni social o pageview virtuali – prima di terminare la navigazione, oppure semplicemente non effettua alcuna operazione sino allo scadere della sessione (di default a 30 minuti).

Un fraintendimento abbastanza classico è dato dal tempo: la frequenza di rimbalzo in Google Analytics non ha una caratterizzazione temporale. Non indica, cioè, quanto tempo l’utente abbia speso prima di smettere di fidarsi o quanto velocemente abbia “rimbalzato” via dal sito. Semplicemente indica un visita che si è esaurita in sé stessa.

Primi passi

Il report di Analytics che preferisco per tenere d’occhio il bounce rate dei miei siti è “Pagine di destinazione” (Comportamento > Contenuti del sito > Pagine di destinazione). Questo report ti mostra quali pagine per prime abbiano iniettato l’utente all’interno della navigazione. Spesso ci dimentichiamo come al di là della forma della homepage o dei nostri ultimi articoli, sia questa selezione di pagine a accogliere realmente i nostri utenti.

In questo report scoprirai che al di là della media della frequenza di rimbalzo totale sul sito, diverse pagine stanno contribuendo in maniera più o meno forte a accogliere l’utente, attraverso una specifica frequenza di rimbalzo.

Puoi aggiungere a questo report come “Dimensione secondaria” anche “Sorgente/mezzo”, così da separare per ogni pagina la sorgente di traffico e il mezzo (pagato o meno) di origine verso la specifica pagina e agire su di esso in modo più specifico.

Scoprire le criticità

Come dicevo, la frequenza di rimbalzo è un ottimo indicatore per valutare realmente la bontà del traffico sulle tue pagine. Più alto il bounce rate, più difficile colpire nel segno con la tua proposta. Soprattutto in contesti in cui una visita più approfondita sia fortemente richiesta per comprendere il contesto o il prodotto.

Il prossimo passo è quindi tirar fuori dal cassetto uno degli strumenti più utili in Google Analytics e iniziare a segmentare il traffico. In questo caso, i parametri migliori da evidenziare sono:

  • dispositivo – desktop, mobile, tablet
  • utenti nuovi e di ritorno – utile soprattutto per un blog
  • sorgente/mezzo – particolarmente efficace nel caso di campagne CPC attive

Google Analytics propone già alcuni segmenti predefiniti che separano l’uso del sito tra dispositivi diversi, utenti nuovi o di ritorno e particolari sorgenti/mezzi. Puoi applicare questi segmenti al report “Pagine di destinazione” per evidenziare i contesti in cui la frequenza di rimbalzo è più alta. Se ciò non bastasse, è il momento di creare un segmento su misura.

Durata della visita

Creare un segmento su misura è sempre la strada migliore e in questo specifico contesto ti permette di aggiungere un riferimento temporale alla frequenza di rimbalzo.

Il segmento che uso è semplicissimo e evidenzia le visite di durata minore o uguale a cinque secondi, dandomi modo di valutare su quali pagine questo tipo di traffico si rivolga e poi (se necessario) filtrare ulteriormente con dimensioni secondarie dispositivi, tipo di utente, sorgente/mezzo.

Contesti diversi

La frequenza di rimbalzo non è qualcosa che ha sempre la stessa valenza. Alcune pagine sono fisiologicamente predisposte a mostrare un’alta frequenza di rimbalzo. Mi riferisco a pagine del tipo:

  • Contatto
  • Landing page
  • Singoli articoli sul blog
  • Domande frequenti

Pagine come queste potrebbero mostrare una naturale frequenza di rimbalzo più alta della media, per il semplice fatto di assolvere al loro stesso compito al meglio. Se la tua landing page o il modulo della tua pagina di contatto non gira l’utente verso una pagina “grazie” è probabile che una volta inviata la richiesta l’utente chiuda il sito. Su un blog, utenti di ritorno potrebbero sbirciare in homepage la presenza di nuovi post e chiudere rapidamente la pagina in mancanza di nuovi articoli.

Una visita puntuale alla giusta pagina FAQ potrebbe risolvere il mio problema senza richiedere altri spunti di navigazione. Una stessa sezione FAQ con bassa frequenza di rimbalzo e un alto numero di pagine per visita non necessariamente potrebbe significare un buon uso dei contenuti da parte del target.

Al di là della semplice media del sito, segmentare e analizzare nel dettaglio le pagine che stanno contribuendo alla frequenza di rimbalzo è la chiave per iniziare a migliorare la loro resa verso gli utenti.

Tieni d’occhio il tuo bounce rate?
Sai quali pagine presentano la frequenza di rimbalzo maggiore sul tuo sito?

Francesco Gavello

Francesco Gavello

Consulente, formatore e public speaker in Advertising e Web Analytics. Sviluppo strategie di Inbound Marketing per progetti web di grandi dimensioni. Appassionato da sempre di illusionismo, un’arte che ha molto da spartire con il marketing.

4 commenti

  1. Grazie per questo post, Francesco perché il bounce rate è proprio uno degli aspetti su cui sto lavorando e tanta strada ho ancora da fare… Oggi scelgo di adottare questo tuo articolo in #adotta1blogger, smart comunità di FB dove provo anche a invitarti 🙂

  2. Solito post di altissima qualità.

    In tantissimi scrivono sull’argomento frequenza di rimbalzo ma sei uno dei pochi che si è preso la briga di fare degli esempi concreti e di spiegare come strutturare un report segmentato per dare un senso (reale) a quel valore.

    Complimenti 😉