Ricordi quando parlavamo di hot dog e landing page? 😀
In quell’occasione scrivevo di come tutti noi, sostanzialmente, leggiamo le pagine di vendita in due fasi: in un primo momento scorriamo i contenuti di qualche riga, per poi saltare a fondo pagina e, risalendo, cercare motivi per non effettuare l’acquisto.
È il motivo per cui in maniera più o meno efficace in quasi tutte le landing page che si rispettino trovi un blocco – testuale, grafico, video – di “risposta alle obiezioni”. Sappiamo come i nostri potenziali lead siano in perenne bilico sul mi-fido-di-te/non-credo-a-una-parola e per questo giochiamo d’anticipo.
Ci preoccupiamo di preservare la nostra credibilità in un contesto controllabile. Evitiamo di proporre link verso l’esterno e testiamo copiosamente l’uso di colori, parole chiave, immagini. Testiamo e controlliamo tutto, in nome dell’Esperienza con la “E” maiuscola.
Ecco.
Tutto questo quando parliamo del più “freddo” advertising. E poi, nella nostra restante visibilità online, ci dimentichiamo di come siano presenti le stesse, identiche, meccaniche.
Puoi chiamarla “soglia della credibilità”, se vuoi. È quel livello di fiducia minima che cerchiamo di percepire quando ci rapportiamo a un nuovo brand o professionista. Visitiamo un sito, saltiamo a una presenza sociale, tentiamo l’iscrizione a una newsletter o al download di un infoprodotto. Stiamo costruendo in noi l’idea, un frammento alla volta, di chi abbiamo di fronte e di come potrà esserci utile.
Poi, in un qualche passaggio, la nostra fiducia viene meno.
Notiamo qualcosa. Un dettaglio, un passaggio testuale, un’incongruenza. A volte ne siamo consapevoli, altre semplicemente decidiamo che no, non è ancora il momento di agire. Che abbiamo in realtà altro di meglio da fare. La soglia di credibilità non è stata raggiunta. Non siamo arrivati in fondo perchè abbiamo trovato la nostra buona ragione di dubitare.
Guardati intorno e troverai decine di esempi:
- Newsletter dai titoli o dai contenuti sgrammaticati
- Immagini raffazzonate o fuori contesto
- Condivisioni di contenuti sui social media di dubbia qualità
- Incongruenze tra le diverse presenze sociali dello stesso brand
- L’uso errato di sigle o delle maiuscole (questa mi fa impazzire)
Dal più evidente refuso sino al più (per nulla) trascurabile dettaglio: tutto ci permette di iniziare a dubitare. E da clienti, siamo molto bravi nel farlo.
Non significa standardizzare la nostra presenza in rete su ogni social e su ogni nostro progetto. Significa invece ragionare con lo stesso occhio attento che metteremmo in una landing anche quando curiamo i dettagli del nostro account su Facebook, in Twitter, nella nostra ultima newsletter o nei testi dei nostri post.
Non significa essere perfetti ma puntare a esserlo. Significa anche scrivere e comunicare come se tutta la rete ti stesse a guardare, sempre.
Perché, molto probabilmente, lo starà facendo davvero.