Ricordi tutte le volte in cui abbiamo parlato di micro e macro conversioni?
In due parole: le conversioni non cadono dal cielo, per ragioni indecifrabili. 🙂
Avvengono, piuttosto, grazie a un preciso processo.
Una vendita – la macro conversione finale – avviene dopo che l’utente ha visualizzato alcune pagine chiave del nostro sito, recepito informazioni basilari sul processo di spedizione oppure essersi iscritto alla newsletter. In alcuni casi dopo aver inserito il prodotto in wishlist. Micro conversioni, appunto. Passaggi intermedi che costruiscono, letteralmente, la macro conversione che aspettiamo.
Quando parliamo di landing page, il tema è esattamente lo stesso. Solo perché parliamo di una singola pagina non vuol dire che questo percorso di avvicinamento progressivo alla conversione non sia in atto. Anzi.
Spesso, semplicemente non ce ne rendiamo conto.
Oppure, non possediamo gli strumenti giusti per osservarlo.
Oggi ti voglio raccontare perché le heatmap sono uno degli strumenti più importanti per chi vuole ottenere risultati importanti con le proprie campagne adv.
Scaldare la pagina
Sono certo che sulla tua landing tu abbia già inserito da tempo il codice di tracciamento di Google Analytics. È corretto ed è una delle prime cose che viene in mente.
Ecco. Analytics è abilissimo nel recuperare tutte le informazioni necessarie a una complessa analisi sugli utenti che attraversano il nostro sito ma non è altrettanto preparato nel raccontarci cosa fanno gli utenti una volta che si sono fermati su una singola pagina.
Mi riferisco in questo caso a informazioni che hanno a che fare con:
- la posizione dei clic
- il posizionamento del mouse, a riposo
- la quantità di scroll effettuato
Informazioni per nulla scontate, che diventano preziose nel valutare a mente fredda l’efficacia della nostra landing. Se a monte, in AdWords o Facebook Ads possiamo conoscere con esattezza il contesto in cui gli utenti hanno cliccato un annuncio, comprendere ciò che succede una volta che l’utente ha iniziato a interagire con la landing page fa tutta la differenza.
Perché, anche se spesso ce lo dimentichiamo, è la landing che converte.
Non la campagna. Neppure la migliore campagna.
È l’efficacia del messaggio sulla landing che porta l’utente alla conversione.
Così, anche il messaggio che riteniamo migliore può non soddisfare le aspettative dell’utente. Apparire banale e poco persuasivo, non stimolare adeguatamente allo scroll. Risultare inefficace nonostante le migliori premesse.
Forse i tuoi utenti non convertono perché semplicemente non arrivano a vedere – e comprendere – le informazioni chiave. Perché non vedono il pulsante. Perché, una volta atterrati, non fruiscono della pagina nel suo insieme.
Così, ci vengono in aiuto le mappe termiche. Rappresentazioni grafiche che raccontano l’interazione dell’utente sulla nostra pagina con l’obiettivo di evidenziare dei percorsi più solcati di altri. E far scaturire da queste informazioni tante, tante buone domande.
L’approccio è diverso da quello di Google Analytics. L’obiettivo non è creare uno storico, guardando al passato. L’idea è campionare un numero preciso di visitatori, analizzando la loro interazione con i contenuti per procedere a modificare quanto necessario. E analizzare nuovamente la risposta capendo se vi sia stato un miglioramento o meno.
Cosa chiedere a una heatmap
Una grande immagine in apertura sulla tua landing? Suona bene.
Gli utenti continueranno a leggere scrollando la pagina?
Un modulo di contatto raccolto tra due colonne di informazioni aggiuntive? Fantastico.
Dove si muove il mouse quando l’utente arriva a quella porzione di pagina?
Non sarà mica che tutte quelle informazioni a corredo distraggano l’utente?
Le mappe termiche rispondono a domande piuttosto concrete, come queste. Tutto ciò che proponi all’utente sulla tua landing viene interpretato e recepito secondo il contesto (e il pregresso) di chi osserva. Ciò significa che l’idea migliore del mondo potrebbe non funzionare.
La tua fantastica immagine in apertura potrebbe ridurre la quantità di scroll della pagina, nascondendo il modulo di contatto agli occhi del nuovo arrivato.
Porzioni di layout troppo dense di informazioni potrebbero distogliere l’occhio da ciò che è davvero importante. Il modulo stesso. Un pulsante. Un numero di telefono. La stessa presenza di immagini in grado di attrarre l’occhio è da considerare con molta attenzione, proprio per la loro capacità di calamitare occhio e mouse rispetto a tutto il resto.
Strumenti che permettono un’analisi di questo tipo stanno diventando sempre più comuni e abbordabili. Da tempo mi trovo alla grande con Hotjar, che offre soluzioni di diversa grandezza, comprensive anche di registrazioni video e analisi del funnel di compilazione del modulo di contatto tra i diversi campi presenti. In realtà, ce n’è davvero per tutti i gusti e per tutte le tasche.
Ne hai mai fatto uso?
Da quando ho finito di leggere l’articolo a quando ho installato il codice di Hotjar saranno passati 3 minuti al massimo. Non ne avevo mai sentito parlare, ma l’idea di una mappa di calore mi intrigato parecchio.
Grazie per la segnalazione e complimenti per il sito.
Per chi è alle prime armi come me sono informazioni molto importanti queste.
Non sapevo dell’esistenza di strumenti così potenti come le heatmaps.
È possibile integrarli in un a/b test?
Ciao Antonio,
interessante domanda! 🙂
Se il tuo A/B test è gestito con un tool che opera su due URL effettivamente distinti, direi che non dovresti avere problemi nel generare una mappa termica per ciascun URL distinto, esattamente come se fossero pagine disgiunte tra loro.
Io uso di frequente le “mappe di calore” e devo dire che mi hanno aiutato parecchio ad aumentare le conversioni sul mio sito! E’ incredibile vedere come noi immaginiamo venga usato il nostro sito e come poi, in realtà, viene effettivamente consultato.