Il principio di riprova sociale è forse una delle strategie più consolidate che da sempre si utilizzano -sul web, ma non solo- per veicolare le proprie attività di marketing.
La base di partenza è semplice, e comprende quella considerazione di cui ogni tanto parliamo per cui le persone sono come …pecore.
Le persone odiano allontanarsi dal gruppo e intraprendere azioni che le portino fuori dalla loro sfera di sicurezza. Lontano da un ecosistema in cui tutto è prevedibile, sicuro e testato.
Ma affinché un acquisto vada in porto, una conversione possa dirsi conclusa, è necessario che questo processo di “allontanamento” avvenga, e sia reso il più rassicurante possibile. In tutto ciò gioca un ruolo molto forte, appunto, la riprova sociale.
A chi non è mai capitato di leggere, al fondo della più classica delle landing page, testimonianze (vere o presunte) di clienti soddisfatti? Quante volte i primi paragrafi di una di queste pagine lasciano intuire che già molti altri clienti stanno sperimentando con successo ciò che ci attende al di là del form di contatto? Che siamo i soli, ancora, a non prenderne parte?
Ma non solo.
I meccanismi di riprova sociale possono diventare molto più sottili, e non sempre venire esplicitati apertamente.
- Contatori on-page per iscritti a newsletter, rss, follower & co.
- Link a interviste, guest post e contributi pubblicati su portali terzi.
- Accenni più o meno velati non tanto ai numeri raggiunti, ma alle percentuali di crescita.
- Pagine di tweet “featured” per dimostrare l’efficacia di un account su Twitter.
- Il defunto MyBlogLog nel proporre utenti conosciuti che già hanno visitato le pagine di un blog
- Plugin sociali, quali Facebook ci sta abituando a considerare sempre più comuni, in grado di visualizzare avatar e account di utenti (ri)conosciuti che già utilizzano o sono in relazione con il servizio.
Nel tempo, per ovvi motivi, i principi basilari della riprova sociale hanno finito per trovare perfetta espressione nei diversi social network, in cui gli stessi contatti dell’utente da convertire diventano strumenti utili nel veicolare la bontà dell’iniziativa.
Quotidianamente siamo sottoposti a meccaniche di questo tipo: nei copy, nelle call-to-action quanto in articoli e landing page. Spesso ne siamo “vittime consapevoli”, altre volte noi stessi agiamo in questo modo senza esserne pienamente coscienti.
Hai già messo in pratica simili meccanisimi sul tuo blog o sito web?
Pensi ci sia un limite “etico” oltre il quale simili meccanismi non dovrebbero spingersi o tutto (o quasi) è consentito pur di vendere il proprio prodotto?
Ho alcune idee molto precise su come non si dovrebbero utilizzare utenti terzi -non sempre esattamente coscienti- per giustificare le proprie iniziative. Tu che ne pensi?