È ormai da diverso tempo che l’approccio freemium alla commercializzazione sul web di un servizio ha preso piede. Si potrebbe dire che quasi nessun tool che conosciamo esuli dall’offrire la propria prova-gratuita-no-credit-card-required.
Ce lo ricorda più che bene GigaOM, in un suo recentissimo articolo.
Long story short, il succo di un approccio freemium alla vendita di un servizio è dopotutto abbastanza semplice: cerca di raccogliere una base di utenti sufficientemente vasta – ma focalizzata – così che poi, quando andrai davvero a offrire a quest’ultima un upgrade o un piano aggiuntivo sarà ben felice di aprire il portafoglio.
Tutto qui?
Sì. Freshbooks, Paymo, Dropbox, MailChimp, chi più ne ha più ne metta.
Quasi tutti seguono questa logica.
Il fatto è che, come ben evidenzia sempre GigaOO riportando in auge il famoso primo test che diede il “la” alla strategia “free + premium”, non si tratta semplicemente di seguire pedissequamente il manuale per avere successo.
Nel caso specifico, il titolo lassù in alto rappresenta la provocazione più precisa sul tema: semplicemente l’avere una base di utenti che gratuitamente si sono avvicinate al tuo servizio sino ad oggi non rende automaticamente profittevole il tuo business.
Soprattutto se sei una startup, con investimenti, persone e tempi limitati.
Scoprire di aver investito i propri sforzi nella costruzione di un ottimo prodotto gratuito, senza aver ragionato a fondo sulle necessità degli utenti per posizionarlo in una logica di upselling più ampia, rischia di portare l’intero progetto in un circolo vizioso.
Un circolo in cui sì si sono raggiunti n-migliaia di iscritti, ma solo una frazione di essi è disposto, beh, a riconoscerti lo sforzo fatto in termini monetari. Nel frattempo, il supporto va comunque garantito, pena la perdita di credibilità. E anche il mantenere i contatti con il mondo esterno sul tuo blog e sulle campagne DEM. E, beh, continuare in tutto questo a lavorare a un taglio a pagamento sempre meno preso in considerazione dai tuoi clienti.
(e no, l’essere acquistati da una Google o Apple di turno non è un’obiettivo realistico soprattuto per le nostre lontanissime realtà italiane)
Solo 1$
In tutto questo, c’è da considerare la perdita più o meno percepita del valore del prodotto se questo viene fruito (anche in parte) completamente gratis dai suoi utenti.
AWeber in questo ha tracciato una strada molto marcata: gente, non esistono piani gratuiti. Il prodotto si paga (e non poco) ma dispone di una sorta di “percorso di avvicinamento” in cui il primo mese è offerto a 1$ (di nuovo, non gratuitamente). Al termine, si subentra senza eccezioni in un piano a pagamento.
Non sono convinto tanto quanto GigaOM che la formula freemium sia giunta al termine. Sono invece convinto che sempre più spesso in futuro ci allontaneremo dal classico piano completamente gratuito fine al macinare utenti.
Laddove questa logica vorrà rimanere fondamentale, all’inizio dell’imbuto di vendita, richiederà di essere comunque gestita in maniera sempre più accorta per poter comunicare agli utenti un vero discorso di pre-vendita.
Non è un vero prodotto finché non ha clienti paganti.
Perlomeno non un prodotto che una startup si immaginerebbe di proporre. Oppure no? 😛
Bell’articolo!
Ho letto con molto interesse anche l’articolo che ai linkato di GigaOM che in sostanza dice che:
– se regali un cioccolatino ai tuoi visitatori il 90% lo assaggerà ma solo il 10% comprerà Ferrero Rocher (il prodotto)
– se vendi un cioccolatino a 1 Cent solo il 50% lo assaggerà ma il 50% di essi acquisterà il Ferrero Rocher
a una prima vista sembrerebbe una grande novità perchè (traendo le conclusioni) regalando qualcosa c’è molta dispersione e in sostanza in pochi poi realmente compreranno il tuo prodotto.
Però non penso che questa regola sia sempre vera.
Facciamo un esempio di numeri 1000 utenti:
prima ipotesi:
1000 utenti “ci vedono”, il 90% decide di assaggiare il nostro cioccolatino (ne rimangono 900) e il 10% acquisterà il nostro Ferrero Rocher (quindi 90 acquirenti)
seconda ipotesi
1000 utenti “ci vedono” il 50% decide di assaggiare il nostro cioccolatino pagando 1 cent (ne rimangono 500) e il 50% acquisterà il nostro Ferrero Rocher (quindi 250 acquirenti)
se stiamo parlando di un prodotto consolidato questa regola potrebbe essere davvero una novità. ma per prodotti in startup secondo me non è vero.
Tutti conosciamo il Ferrero Rocher e tutti saremmo disposti a un piccolo sacrificio per avere la possibilità di assaggiarlo.
Ma se ti offro come prodotto finale il cioccolatino “ROSSI” (che nessuno conosce) forse quel centesimo risulta un grosso “freno” perchè pochi utenti saranno disposti al “piccolo sacrificio”…
oltretutto (come sempre) mi sembra un discorso molto legato all’America che da anni punta sul gratuito per accrescere il bacino d’utenza…. ma informaticamente parlando qui qui Italia siamo ancora al medio evo…… e questa regola sarà applicabile tra anni…
che ne pensi????
Sono d’accordo con Luca per quanto riguarda le startup. Oggi c’è diffidenza verso i nuovi prodotti e verso le nuove professionalità. E non parliamo se qualcuno deve pure sborsare anche “x” euro per acquistare un prodotto (o una delle sue versioni) che non ha ancora un mercato affermato. Troppo volte sento la frase “bello sto software è gratis”. Come avviciniamo gli utenti alla nostra startup se il presupposto è sviluppare “obbligatoriamente” gratis? Solo i grossi vendor riusciranno a sostenere questa logica, almeno fino a quando starà in piedi. Almeno fino a che i giganti del mercato non commetteranno l’errore di “calcare” la mano con le loro nuove startup (o i loro aggiornamenti), iniziando a fare pagare quegli utenti che erano fedeli per il 30% per il prodotto e per il 70% per il costo = zero.
Momento difficile ed imprevedibile.
Forse – bisognerebbe fare “startup” con più “coscienza”.
Troppo frequentemente si assiste alla morte del progetto o della startup di turno, soltanto perchè non aveva ricevuto l’adeguato riscontro del pubblico.
Sarà forse il caso di controllare se la nicchia o il settore o il pubblico di riferimento abbia EFFETTIVAMENTE la necessità del nostro prodotto/servizio?
In ogni caso i servizi che citi si differenziano molto nei loro profili premium. E soprattutto lavorano molto sul rendere la percezione del loro servizio come indispensabile.
Penso a Mailchimp che, a fronte di un piano Free che va bene praticamente a tutti i piccoli business, tiene come premium servizi che ingolosiscono, come il collegamento dei profili ai social e l’analisi delle reazioni alla newsletter, l’analisi automatizzata della mail su più browser e MUA, lancia servizi paralleli e introduce integrazioni con decine di altri servizi già esistenti.
Non penso sia in declino il Freemium, ma la sua gestione deve essere molto attenta e deve derivare da un business plan ed azioni continue, non dal caso. PiccoloSocrate ha ragione, serve più consapevolezza e ci si deve interrogare meglio sul prodotto da lanciare.
Secondo me la chiave per creare “l’energia di attivazione” che porta il buyer a mettere la mano al portafoglio è il valore che il prodotto fornisce. Ma va?!? Direte voi. Vero, è ovvio, ma se manca non c’e’ niente da fare. Ad esempio: io non faccio l’upgrade di Linkedin. Non ha sufficiente valore per me. Lo ha per altri sicuramente, ma se mi chiedessero se fossi disposto a pagare per usare linkedin come e’ ora pagherei tranquillamente 20-40 Euro/mese. Quindi, mi viene il dubbio che offrire qualcosa gratis per poi fare pagare per avere di piu’ funzioni ma abbia anche forti controindicazioni.
Io preferirei far pagare subito, e se non pagano vuol dire che devo ancora lavorare sul valore ( o fare altro).