Per un’azienda, difendere la propria reputazione è tutto.
Con i social media, con il settore mobile in continua espansione, la cosa si fa sempre più complicata.
Gli smartphone diventano una forza trainante durante nuove crisi. Milioni di reporters in tutto il mondo sono in grado di tenere sotto controllo ogni aspetto potenzialmente problematico e ridistribuirlo alle loro reti. Se prima una press conference era in grado di fare il punto su di una criticità e impostare la gestione da parte dell’azienda, oggi è come essere continuamente sotto ai riflettori. Il tempo di risposta è breve, brevissimo, e l’impatto per ogni azione è alto.
Ecco perchè ho trovato estremamente interessante l’intervento di David Krejci, Executive VP della Digital Communications in Weber Shandwick North America proposto la scorsa settimana all’interno della HootSuite University, il percorso formativo della popolare social media dashboard.
David, 17 anni di esperienza sul campo, si occupa da tempo di pianificare le strategia di una corretta gestione delle crisi che avvengono online intorno ai diversi brand. Il video sarà liberamente disponibile online sino al 4 luglio, dopodiché diverrà parte del contenuto premium della HootSuite University.
Ops…
Quali dati ha raccolto David nel corso della propria carriera?
- Il 63% del valore di un brand è dato dalla propria reputazione;
- I primi 120 minuti sono fondamentali per determinare la percezione di una crisi.
Solo due ore affinché la percezione di una crisi si fissi nella mente delle persone, e qualunque cosa tu faccia a posteriori debba seguire questa percezione (giusta o sbagliata che sia). Le origini?
- Per il 50%, dipendenti interni al brand;
- Per il 32%, altri leader interni;
- Solo per un restante 18%, forze esterne.
Ciò significa che l’82% dei problemi legati alla reputazione di un brand nasce dall’interno! Se questo dato può sembrare altissimo, d’altro canto significa che esiste un concreto margine di miglioramento per tutte quelle aziende là fuori che possono realisticamente iniziare a lavorare sul proprio staff.
David scende poi nel dettaglio, mostrando come solo il 39% delle crisi avvengano in maniera improvvisa e inaspettata, mentre un ben più corposo 61% corrisponda a problemi di reputazione diciamo “latenti”, che si trascinano troppo nel tempo sino a trovare finalmente la loro esplosione.
Cosa manca alle aziende che vivono la non troppo esaltante esperienza di gestione di una crisi? Educazione interna (al fatto che problemi di questo tipo possano realmente nascere), uno staff professionale pronto ad attivarsi senza impattare sulle risorse dedicate giornalmente, piani di emergenza e precise policy interne che stabiliscano cosa e come. A seguire, manca poi nelle aziende una corretta identificazione dei propri influencer e una linea guida della moderazione da adottare.
Non sembra in questo caso che i punti deboli di grandi aziende siano diversi da quelli di piccoli brand o singoli professionisti che affrontano la questione, tutto sommato, sottovalutandola.
In caso di emergenza, rompere il vetro
Cosa fare quindi quando una crisi di verifica?
- Fornire una risposta immediata; i primi 120 minuti sono fondamentali per definire il modo in cui la crisi verrà percepita dal pubblico;
- Essere trasparenti; per quanto veloci, per alcuni il tempo di risposta sarà sempre troppo lento e con troppo pochi risultati. La trasparenza aiuta un brand ad avvicinarsi al problema e a mettere sul tavolo la reale questione;
- Avere ruoli e responsabilità predefinite; soprattutto in aziende molto strutturate, capire di chi è la responsabilità dell’immagine sui social media e quale ruolo si occupa di comunicare cosa è spesso un discorso fumoso che rende la gestione di una crisi un percorso a ostacoli.
E durante una crisi?
- Mettere a conoscenza della crisi tutti i settori del brand; tutti devono sapere cosa stia succedendo e come comportarsi nel caso una richiesta diretta arrivasse a una qualsiasi presenza online (secondaria o meno) di persone legate al brand;
- Seguire la questione 24/7; non c’è spazio per staccare la spina o prendersi una pausa quando l’intera rete sta prendendo di mira il tuo brand. Anche se i primi 120 minuti sono fondamentali, chiudere tutto per il weekend o per una mezza giornata soltanto non sarà una scelta saggia;
- Fornire una copertura non solo ai social media ma, se disponibili, anche su tutti i canali tradizionali legati al brand (e predisporre dove necessario attività per rimuovere rapidamente i contenuti su di essi). Durante una crisi l’ultima cosa che vuoi è che attività promozionali lasciate con il pilota automatico continuino a sollecitare gli utenti creando effetti ancora peggiori;
- Monitorare la crisi sui motori di ricerca con attività SEO volte a dare maggiore visibilità ai contenuti per te importanti nella gestione del problema.
Gestire una crisi legata alla reputazione di un brand in rete non è affatto facile. L’esperienza di David lascia poi un ulteriore spunto: conclusa con successo una crisi, adagiarsi sugli allori non è la scelta migliore. Nuove crisi riaccendono spesso quelle passate, creando un effetto a catena ogni volta potenzialmente più problematico. Una buona comunicazione interna e un’analisi critica di come la crisi sia stata gestita può darti una reale visione di quanto la tua azienda sia pronta a gestire questo tipo di problemi durante la classica giornata lavorativa.
Un’intervento, quello di David, assolutamente interessante e strapieno di grafici che danno l’idea di cosa voglia dire gestire problemi di reputazione online per grandi brand, trovandosi per chi legge per la prima volta dall’altra parte della barricata, a dover gestire clienti urlanti e ogni provocazione di sorta.
Ottimo davvero.
Sullo stesso tema il blog di Weber Shandwick, che periodicamente tratta temi di questa portata. L’intervento di David è presente sul blog di HootSuite.
Cos’è per te più importante, quando ti trovi a dover attendere una risposta da parte di un brand?
La velocità di risposta? Le azioni concrete? Il tono o il tipo del messaggio?
Urgente cancellare dati diffamatori
Buongiorno Rita,
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