Essere un’azienda, ai tempi dei social network, è difficile.
È difficile per chi gestisce le proprie risorse umane ignorare numeri che crescono e possibilità di distribuzione dei contenuti sempre più fluide, ignorando la cosa o bollandola come semplice “scatola stagna”, in grado di non incidere sul resto del proprio business finché non viene seriamente affrontata.
Così, sempre più aziende adottano una propria policy riguardo la gestione interna di Facebook, Twitter, LinkedIn e via discorrendo.
Al livello più basso abbiamo tutte quelle aziende che semplicemente affrontano il problema negando o vincolando in parte l’accesso a questo o a quel dominio. Che nessuno perda tempo su simili sciocchezze, siamo qui per lavorare.
Altre, affrontano potenziali problemi di immagine nel momento in cui questi si verificano, adottando procedure di più o meno emergenza quando il dipendente di turno compie lo scivolone che gli costerà forse il posto.
Altre ancora, decisamente più illuminate, cominciamo a considerare un periodo di formazione sui social network come una prassi indispensabile al percorso lavorativo.
(conosci il tuo nemico, echeggia lontano 🙂 )
Prevenzione efficace
C’è chi già esplora da tempo la potenza della propria rete di dipendenti e collaboratori e incoraggia una sana distribuzione di contenuti pertinenti. Sviluppa materiale, forma le persone. Crea insomma i presupposti di un buon dialogo senza lasciare le cose al caso. Evolve la sua visione abbracciando i social network dal punto di vista di chi per l’azienda ci lavora.
Si cerca di prevenire, più che di rimediare, alla classica situazione per cui l’azienda di turno lavora duramente a un prodotto per mesi, e poi subito dopo il lancio il singolo dipendente se ne esce con informazioni contrarie, o dannose, alla policy aziendale.
Perché finché il tutto avviene a voce, com’è sempre avvenuto, di problemi non ne sussistono poi troppi. Diverso il caso quando tutto è tracciabile, estremamente amplificato e senza filtro come spesso accade su una qualsiasi bacheca di Facebook.
E qui si apre tutto l’interessante spunto che intendevo raccontarti oggi.
Etica
Davvero formare un dipendente sull’utilizzo consapevole dei social network, ad uso e consumo aziendale (leggi: per evitare disastri) equivarrà per sempre a rimanere estranei al resto della sua attività?
È da qualche settimana che si legge in rete di probabili controlli e filtri per cui per le aziende dovrebbe diventare palesemente proibito farsi fornire accessi e riferimenti ai profili sociali dei propri dipendenti, ma qui si sale di un nuovo livello.
Lavoreresti per un’azienda che richieda ai suoi dipendenti, a fronte e forte di un periodo di formazione (leggi: soldi) spesi per gestire internamente la questione social media, di agire allora sempre secondo particolari canoni interni, e di comportarsi in ultima analisi come se si trovassero sempre sul posto di lavoro?
Si potrebbe pensare: hey, è questione di etica.
Un buon dipendente non ci pensa neppure a sputare nel piatto in cui mangia.
Un buon dipendente aiuta l’azienda a crescere ed è nel suo interesse essere in linea con la filosofia e il posto in cui lavora. Per la più classica delle situazioni win-win.
Ti ho formato, ora agisci
È solo che così andiamo a sfumare i contorni un passettino alla volta.
Ciò che oggi potrebbe essere accettato: “Parla pure ma con i dovuti toni e con sincerità” domani potrebbe diventare: “Promuovi il nostro prodotto senza se e senza ma, ne abbiamo bisogno e ti abbiamo formato per questo”.
La rete, il grafo sociale dei propri dipendenti è un terreno di marketing troppo succoso per rimanere ancora a lungo scoperto e privo di una qualche regolamentazione?
Prima l’accenno era solamente sulle questioni legate alla privacy. Tu datore di lavoro puoi giudicarmi anche secondo quanto di me distribuisco in rete, e io potrò decidere se la tua azienda fa per me in merito alle tue decisioni.
Ma se l’azienda decide di investire in formazione proprio su questi social -così spinosi- quanto rimarrà poi immune dal cercare di influenzare il mio comportamento su di essi?
Che ne pensi?
Hai senza dubbio ragione, e c’è da tremare al pensiero in effetti.
Probabilmente troveremo un nuovo livello di aziende miopi pronte a cannibalizzare il grafo sociale dei dipendenti (probabilmente le stesse che oggi impediscono l’accesso agli stessi strumenti) ed aziende illuminate che invece capiranno il valore etico del formare e mettere a disposizione gli strumenti senza cercare di influenzarne l’uso.
Del resto i fan comprati (in qualsiasi modo) non sono uguali ai fan guadagnati no?! 🙂
Ottime considerazioni, come al solito 🙂
Grazie mille Gianni 😉 A rileggerci!
Chi si ferma è perduto, soprattutto perchè “by 2020, 50% of the workplace will be millennials”. La formazione sui Social Media è un’ottima azione di engagement con i propri dipendenti e in Italia abbiamo ancora tanta strada da fare da questo punto di vista.
Per chi fosse interessato, al seguente sito trovate una raccolta di social media policies di società e agenzie: http://socialmediagovernance.com/policies.php#axzz1fhoYpfPI
Giorgio
Grazie per l’interessantissima risorsa Giorgio! 😉
Ciao Francesco quello che dici sarebbe molto bello in un azienda\società “perfetta”.
Purtroppo la realtà è molto diversa e la formazione in questo caso non aiuterebbe.
Per la maggior parte delle persone i social rimangono dei passatempi in cui intrattenersi con i propri conoscenti e non solo. Lasciare aperti questi canali durante l’orario lavorativo, ti posso garantire per esperienza personale, può diventare un grosso problema.
Io credo che i social siano strumenti che, a livello lavorativo devono rimanere a disposizione dei professionisti del settore (ICT, Marketing etc.) che li utilizzano per il bene dell’azienda.
Negli altri casi diventano strumenti perditempo.
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http://www.scriveresuivetri.it
I social network ci permettono di amplificare la comunicazione con i nostri lettori. Se un’azienda abusa della comunicazione via email sicuramente cercherà di farlo anche tramite i Social Network, ottenendo feedback negativi o nulli. Se invece ne fa un utilizzo intelligente, troverà nei Social molti consensi positivi e nuovi “Fan”
In Usa è in corso un processo per stabilire la proprietà di un account twitter gestito e aperto da un dipendente ma utilizzato per veicolare contenuti aziendali, prove e test di cellulari fatti in azienda.
Dopo essersi licenziato e messo in proprio, l’ex dipendente ha cambiano nome all’account e ha continuato a twittare ai suoi 22mila follower, l’azienda ha chiesto i dati di tutti i follower e un risarcimento pari a 2,5 $ per utente adducendo che l’identità dei follower è da considerarsi “segreto commerciale”.
L’account twitter gestito da un dipendente è dell’azienda o del dipendente che lo cura e lo fa crescere? anche gli aspetti legali del mondo social aziendale sono per ora un Faw west