Paywall, flat e contenuti a pagamento

Pagheresti 0.05€ per aggiornare il tuo stato su Facebook?

Una domanda: il modello di business promosso da App Store (ed eventuali concorrenti) può ormai considerarsi un’avvisaglia di un panorama che sta cambiando, lentamente, anche in segmenti limitrofi e più coriacei?

È quello che Alberto Baracchi mi ha chiesto qualche giorno fa su Facebook.

Il ragionamento parte dal post di Mirko, in cui provocatoriamente si chiede: “Pagheresti 2 euro per aggiornare il tuo stato su Facebook?”

Di paywall, accessi flat e contenuti (free)premium si è discusso parecchio in passato.

La risposta, secondo Mirko, è affermativa. Se si sta consolidando una prassi -quella del pagare n-euro per scaricare un’app dallo store di Apple- non siamo poi così distanti quanto crediamo dal poter chiedere altrettanti euro per far accedere i lettori ai nostri contenuti.

Oppure no?

Sarà, ma io ho ancora qualche dubbio.

Percezione del valore

E non solo perché i dati confermano che esperimenti del genere, anche su larga scala, non sembrano godere dei risultati sperati. È più il fatto che, semplicemente, credo che il valore venga percepito nei due casi in maniera diversa.

Da un lato c’è l’App Store che ti propone qualcosa del tipo: “Pagami adesso 0,79 euro e, scaricata l’app, utilizzala come ti pare per accedere per sempre al contenuto a cui fa riferimento”. Dall’altro una (ipotetica) proposta da parte di un editore: “Pagami 0,79 euro per accedere per una settimana al mio network. O per acquistare un pacchetto da n-aggiornamenti di stato.”

Due proposte niente affatto equivalenti.

Nel primo caso l’utente è messo nelle condizioni di considerare l’app come qualcosa di cui acquista la proprietà (anche se burocraticamente non è esattamente così). Concetto con il quale tuttavia siamo molto più familiari e con cui prendiamo confidenza nel momento in cui acquistiamo una rivista o un album. Paghiamo per poter disporre liberamente e senza vincoli di ciò che abbiamo acquistato.

Nel secondo caso si presuppone nell’utente una consapevolezza ben superiore. Si vende un accesso, una potenzialità. Lontano dall’acquisto occasionale, il pagare per l’accesso a un network o anche solo per aggiornare il proprio stato presuppone un utilizzo molto più maturo del mezzo. Una scelta che pondera ritorni, investimenti, impegno da dedicarci.

Tagliando fuori in un istante, nel secondo caso, tutti gli utilizzatori occasionali o semplici appassionati che non traggano dal mezzo guadagni diretti o indiretti. E non è una situazione che auspicherei di vedere concretizzata.

Che ne pensi?

Davvero il modello di business dell’App Store è stato in grado di mutare la percezione del “pagare per accedere”? O si è trattato (semplicemente, ma non troppo) delle meccaniche che già conosciamo e che nulla hanno mutato nella considerazione da parte dell’utenza della necessità di pagare una certa flat mensile per accedere a dei contenuti online?

foto: pareeerica

Francesco Gavello

Francesco Gavello

Consulente, formatore e public speaker in Advertising e Web Analytics. Sviluppo strategie di Inbound Marketing per progetti web di grandi dimensioni. Appassionato da sempre di illusionismo, un’arte che ha molto da spartire con il marketing.

7 commenti

  1. innanzitutto il GRATIS non esiste. perchè qualsiasi cosa ha dei costi, e tutti i costi prima o poi vengono pagati.
    a volte però “paga qualcunaltro”, ovvero non chi usufruisce del servizio. in tal caso pertanto il fruitore ha la percezione che il servizio sia gratuito, anche se non è affatto vero (semplicemente i costi li paga qualcunaltro).

    Facebook non è gratuito. è gratuita l’iscrizione, è gratuita la pubblicazione degli aggiornamenti di stato e di tutto ciò che si può pubblicare in profili e pagine. ma ciò non significa che non ci siano costi: significa solo che i costi li paga qualcunaltro (ovvero gli inserzionisti pubblicitari).
    inoltre Internet stessa NON è gratuita: è gratuito il suo utilizzo, ma l’accesso si paga (ed il denaro guadagnato dai fornitori di accesso viene in parte poi utilizzato per sopperire agli inevitabili costi del mantenimento della rete).

    la domanda che bisogna farsi è: un modello di business online che chiede ai fruitori di un servizio di pagare per poterne usufruire è fuori mercato?
    in alcuni casi sì, in altri no. solo l’esperienza ci potrà mostrare quali lo sono, e quali no. inoltre l’appeal dei vari modelli di business cambia con il tempo, pertanto ciò che oggi non ha appeal potrebbe averlo domani.

    secondo me pertanto ha poco senso cercare di “intuire” se un modello di business può funzionare oppure no: la cosa migliore è testarlo, per vedere se supera l’esame dei fatti. credo di poter dire che far pagare l’accesso, la registrazione o l’utilizzo di Facebook potrebbe essere dannoso per Zuckerberg e soci, perchè inevitabilmente ci sarebbe una riduzione molto drastica degli utenti ed un crollo verticale degli utili (dato che il modello di business vincente di Facebook è proprio quello basato su numeri elevatissimi di utenti).

  2. 0,79 euro per una app non sono la stessa cosa di un servizio di social networking.
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    Per farla breve: l’app (o meglio di suo utilizzo) è destinato al singolo, indipendentemente dagli altri e dal numero di utenti che la utilizzano, lui riceverà SEMPRE lo stesso beneficio.

    Il social network, invece, funziona (ed è così affollato) solo per le cosidette “economie di rete” GRATUITE. Tutti sono su fb (o su qualsiasi altro network) solo perchè GRATUITO e quindi “conviene” pagare 0,79 euro per aggiornare lo stato.
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    Il discorso ovviamente va personalizzato per ogni tipo di attività e tarato in base al social network. Ovvio che se gli utenti dovessero direttamente pagare, non sarebbe così affollato.
    🙂

  3. Come sempre i successi (Apple e non solo) nascono da un mix di fattori. Per anni il software o lo pagavi troppo salato o non lo pagavi per niente, con le App del suo Store la Apple ha fatto l’esatto contrario: software generalmente molto semplice e con poche o una sola funzione d’uso ma il cui beneficio (assoluto o relativo) è immediatamente percepibile, regalato o venduto a un prezzo che non è più alto di quello che molti (folli) erano disposti a pagare per un’icona o una suoneria. Il valore percepito è spesso più alto del prezzo, la App viene percepita comunque come un qualcosa di unico (anche se magari ce ne sono altre che fanno cose simili) e non ritrovabile in altre forme, l’ecosistema favorisce l’acquisto compulsivo e la base di utenti non solo è enorme, ma anche con una propensione all’acquisto maggiore della media e tendenzialmente con maggiori disponibilità economiche. Anche le applicazioni più costose, alcuni giochi ad esempio, sono come tutto l’universo iOS una riscoperta della semplicità e un trionfo della giocabilità e/o dell’utilità sul software complesso e questo ha fatto il loro successo. Adesso tentano di replicare il successo col Mac e ad occhio e croce ci riusciranno. L’informazione è un altra cosa, basta google per trovare un’alternativa sempre gratuita, e se mi facessero pagare ogni tweet magari resuscita Jaiku 🙂 Facebook ha infiniti altri modi per guadagnare, non credo che questa sarebbe una strada

  4. Il contenuto digitale contiene in se la cultura del gratis, poichè la percezione del valore è stata da sempre associata a beni materiali o alle conoscenze intellettuali di persone fisiche. Il fatto di poter avere strumenti e beni immateriali ed impersonali, per chi non ha una “cultura digitale”, equivale ad averli gratis, perchè non ne comprende il lavoro che c’è dietro. E’ facile capire che per fare un tavolo il falegname ha dovuto lavorare il legno, tagliarlo, verniciarlo ecc…E’ più difficile percepire il valore che c’è dietro ad un software, perchè pochissimi comprendono con quali risorse e strumenti si produce. Ultimamente, anche grazie a prezzi più bassi, sento sempre più persone preferire l’acquisto di un software originale o di musica originale. Questo perchè la formazione digitale ed informatica è sempre più diffusa e se ne percepisce sempre di più il valore. Un valore che non è percepito, ad esempio, per le notizie di un quotidiano, visto che se ne trovano di uguali su molte fonti gratuite.