La realtà dietro l’engage degli utenti sui social media

I Like, therefore I…

Creare engage sui social network
©Jakub Jirsák/Adobe Stock

Esiste questa strana convinzione secondo cui l’engage, l’interazione che avviene con il proprio target -sui social network ma non solo- sia il punto di arrivo di ogni attività di social media marketing.

È sbagliato.
È sbagliato perché non tiene conto di un fattore decisamente più importante e …sottile.

Ciò che le persone provano nell’interagire, volontariamente o casualmente, con un brand. Le loro emozioni, le loro sensazioni, in relazione a quanto gli viene proposto.

Spesso mi viene chiesto di costruire piani editoriali e strategie volte a migliorare, o a incrementare, l’engage di un brand su Facebook, Twitter, Pinterest o qualsivoglia altro social network.

Il fatto è che se ci si volesse unicamente concentrare sul modo di ampliare l’interazione degli utenti di un brand verso quest’ultimo, il gioco sarebbe piuttosto facile.

Data una minima base di utenti presenti su una (per restringere il campo) pagina Fan, non è così difficile incrementare quel rapporto “Mi Piace” rispetto al “Parlano di noi”. Riducendo progressivamente la soglia di ingresso (e quindi la focalizzazione del messaggio) è possibile aumentare quel fatidico numerino senza grandi sforzi.

Ragionare invece su come quella percentuale di engagement arrivi ad essere davvero indicativa di un risultato raggiunto (in termini di vendite, di richieste di contatto, di numeri poi altrettanto quantificabili) è un diverso paio di maniche. Ed è ciò che qualsiasi professionista dovrebbe inseguire.

Quante volte hai notato pagine brand con centinaia di like o ricondivisioni su immagini del tipo “la tazza di caffè”, “il panorama cittadino”, “la spiaggia assolata” (in vista del weekend) e varianti simili?

Qui sta il fraintendimento.

Continuando a vedere l’engagement come genericamente il punto di arrivo di ogni attività di social media marketing, si rischia di ignorare (volutamente o inconsciamente) la qualità dell’interazione che andiamo a generare. L’engage non è il risultato da perseguire, ma una delle variabili da attivare.

Rischiamo di cercare interazioni che per l’utente sono tanto facili quanto poco gratificanti. Rischiamo di cercare interazioni che per il brand sono tanto appetibili quanto qualitativamente inutili.

È più interessante cercare di far scaturire interazioni intorno alla presentazione del tuo nuovo prodotto, o su una classica stock-photo che muove quei due o tre concetti di base a cui chiunque farebbe Like tanto-non-mi-costa-nulla?

Per un nuovo brand, desideroso di lanciare la propria presenza in rete, ogni numero che cresce sembra essere un buon numero. Tuttavia, per quanto possa essere difficile rimanere saldi su queste posizioni quando i propri competitors macinano Like e commenti su tutto fuorché qualcosa di legato al proprio business, è necessario guardare alle cose con onestà.

Anche per questo costruire una strategia editoriale che funzioni (sui social media, ma non necessariamente limitata a questi) è un lavoro complesso. Non riguarda semplicemente la costruzione di un calendario del tipo “oggi parliamo di…” con in mente il numero di persone da coinvolgere da far crescere a ogni costo.

È questione di muovere gli utenti laddove vogliamo che agiscano. Di migliorare davvero la percezione dei nostri prodotti o servizi. Valutando durante il percorso quale tipo di engage viene generato (o non viene generato) in risposta a precise attività.

Sai, dopotutto con le statistiche puoi provare ogni cosa.
Soprattutto se non sai dove andare a parare. 🙂

Francesco Gavello

Francesco Gavello

Consulente, formatore e public speaker in Advertising e Web Analytics. Sviluppo strategie di Inbound Marketing per progetti web di grandi dimensioni. Appassionato da sempre di illusionismo, un’arte che ha molto da spartire con il marketing.

3 commenti

  1. Ciao Francesco.
    Sono d’accordo su tutta la linea. Purtroppo trovo che attorno al fenomeno Social ci siano tanti venditori di fumo e tanti uomini marketing a cui sfugge la grande verità che esprimi.

    D’altra parte è facile abbindolare la gente con numeri sempre positivi 🙂 mettiamoci anche la compravendita di fan il quadro diventa perfetto.

    “Guarda come siamo stati bravi…” 😛

  2. Spezzo una lancia in favore dei venditori di fumo (chiaramente provocatoria). Il problema è anche a monte, spesso le aziende (i brand) non sanno, non ascoltano cosa gli si dice e non hanno obiettivi chiari. Per cui diventa “facile” farsi scudo di strategie di bassa lega basate su dati inutili invece di esporsi professionalmente e rifiutare di fare un lavoro che si sa essere sbagliato.

    Non giustifico, non fraintendetemi, ma la fatica è veramente tanta in alcuni casi 🙂

    In ogni caso grande Francesco come al solito!

  3. Condivido pienamente anche io, meglio avere 200 like di fans attivi/interessati che 1.000 like di mummie.
    C’è da dire che da parte dei “non addetti ai lavori” il numero dei fans in crescita riempie l’occhio (solo quello) quindi alcune volte è giusto dare alla gente ciò che vuole, come si dice: ARIA FRITTA