Cosa manca ai brand su Twitter?

Twitter.com

Quando si mettono assieme le parole brand e Twitter si sviluppano due approcci diametralmente opposti tra loro.

Il primo vede l’utilizzo del più famoso network di microblogging come una succosa potenzialità per un’azienda: finalmente un metodo “trasversale” di apparire più umani di qualche rigida pagina istituzionale e stabilire un dialogo costruttivo con i propri clienti.

Il secondo prevede lo sfruttamento del pennuto come un qualsiasi altro mezzo di broadcasting “da uno a molti” nel quale l’interazione viene ridotta all’osso, se non praticamente azzerata. E’ il caso di account con migliaia di followers all’attivo e zero following. E’ il caso dove l’account diventa niente più di una mera riproposizione del feed rss di turno e di qualche sporadico annuncio in pompa magna.

Quale dei due sia l’approccio, sono tuttavia ancora piuttosto convinto che fare fortuna su Twitter con il proprio brand non sia così difficile.

Una piccola premessa.

Come scriveva Mafe De Baggis in un recente articolo per Punto Informatico, dietro l’accoppiata brand&social media non c’è sempre il risultato di complesse analisi di mercato e di sforzi congiunti per a portare l’azienda su un nuovo livello di comunicazione.

Spesso anzi ciò che osserviamo è il semplice risultato dell’iniziativa del singolo, del test isolato e portato avanti quasi sottobanco, nel tempo libero. Esperimento che se non porta conseguenze negative, alla meno peggio riesce a rappresentare del lavoro extra non retribuito.

Eppure la risposta della twittersfera all’ingresso dei grandi brand è spesso abbastanza fredda. Sospettosa, persino.

Esiste una sorta di disagio non meglio focalizzato che assale l’utente quando l’azienda cerca di aggiungerlo tra i follower. E la domanda che sorge spesso è: “A che diamine mi servi? Quale vantaggio mi porta l’avere i tuoi tweet tra la montagna degli altri che già seguo?”

Sono domande legittime, dopotutto.
Ecco dunque tre cose che vorrei avere nel momento in cui concedo la mia fiducia ad una azienda che decide di parlare (anche) con me su Twitter.

  • Dammi un servizio utile. La velocità (e frammentazione) dell’informazione che viaggia su Twitter ben si presta a contenuti di servizio, che anche se lasciano da parte il dialogo “puro” riescono ad essere utilissimi in ambiti più concreti. E’ il caso di @atacmobile, per dirne uno.
  • Dimmi qualcosa che non so. Dietro ad ogni brand risiede un’idea di fondo; un modo di percepire una necessità sulla quale si basa poi il prodotto da vendere. Twitter può risultare un campo meraviglioso per tornare a discutere con i propri clienti di quella piccola grande necessità, lasciano momentaneamente da parte il prodotto da vendere.
  • Fammi sentire parte della tua evoluzione. Certo i grandi cambiamenti all’interno di un brand difficilmente passeranno per Twitter (o qualsiasi altro canale così “instabile”. Tuttavia ogni azienda che cerchi di conquistare la sua fetta di spazio in questo network, dovrebbe essere in grado di recepire l’umore dei propri followers e colmare quella necessità di dialogo che essa stessa ha creato.

e…last but not least:

  • Fammi sapere chi c’è dietro. Dubito che la twittersfera si lasci ancora abbagliare dall’idea della “grande azienda che parla ai suoi clienti”. Abituati quotidianamente a leggere di emozioni e riflessioni personali, l’idea che esista uno sforzo coordinato per ogni tweet inviato lascia oggettivamente il tempo che trova. Piuttosto apprezzerei di gran lunga sapere che dietro l’account del mio brand preferito risiede un vero esperto il cui interesse è dialogare con me riguardo obiettivi, trend ed evoluzioni. Qualcosa che non possa trovare insomma nella solita intervista sul quotidiano o in una qualche press release del portale ufficiale.

Ecco, questo direi ad una azienda se avessi modo di avanzare le mie richieste prima e durante il lancio di un account ufficiale.

Certo, richiederebbe uno sforzo almeno un briciolo più coordinato. Richiederebbe la consapevolezza di quell’azienda che per attivare una qualsiasi molla virale, oggi più che mai, non è sufficiente “esserci” ma è necessaria una certa qualità intrinseca del prodotto da promuovere.

Nessuno parlerà mai di te se non ritiene che tu valga qualcosa. Neppure con i migliori tool a disposizione e con le spinte più spudorate. Peggio ancora, rischiare di forzare la mano sulla rete con metodi obsoleti e per nulla ragionati rischiano solo di avere (vistosi) effetti controproducenti.

A proposito: hai mai deciso di regalare un follow ad un’azienda?
Che cosa ti ha portato a farlo? E in caso contrario cosa ti ha fatto scappare a gambe levate?

Sono curioso di sapere cosa ne pensi. Twitter rischia di essere fallimentare per le imprese solo per una mancata concezione del corretto metodo di utilizzo, oppure gli scarsi risultati visti sonora rappresentano il frutto di una chiusura dell’utenza attiva nei confronti di tutto ciò che non rappresenta “il singolo utente che parla”?

Francesco Gavello

Francesco Gavello

Consulente, formatore e public speaker in Advertising e Web Analytics. Sviluppo strategie di Inbound Marketing per progetti web di grandi dimensioni. Appassionato da sempre di illusionismo, un’arte che ha molto da spartire con il marketing.

17 commenti

  1. Ciao Francesco,
    per me è un mondo nuovo Twitter, mi sono iscritto da poco. Non appena avrò capito le potenzialità di questo socialnetwork condividerò le mie opinioni. Intanto ti ringrazio per questo spunto di riflessione.

    Buon inizio settimana
    Pasquale

  2. Guarda, attualmente è il migliore in circolazione per quanto mi riguarda..Tu poni una domanda ( hai mai deciso di regalare un follow ad un’azienda?
    Che cosa ti ha portato a farlo? E in caso contrario cosa ti ha fatto scappare a gambe levate? ) e secondo me alcuni utenti manco vedono se è un’azienda..danno un follow a tutti 🙂 io sono uno di quelli!

  3. Ciao Francesco.
    Complimenti per il bell’articolo.
    Mi sembra di capire che sei piuttosto fiducioso nel successo di una strategia di presenza su Twitter a patto che sia ben congegnata. Son dello stesso avviso, anche se vedo molto complicato proprio il riuscire ad elaborare un buona presenza. Io seguo pochissime aziende (Fiat, Sun Italia, Capgemini,…), ho regalato loro il mio following perché mi interessano in assoluto. Sinceramente, però, fino ad ora non ho visto nulla di trascendentale. Alcuni tweet mi risultano anche fastidiosi. Riuscire a creare valore per l’utente è piuttosto difficile in un servizio testuale da 140 caratteri…

  4. Non seguo aziende perché, semplicemente, non vedo un dialogo possibile che quelle che mi hanno aggiunto fra i follower: c’è chi pubblica solo link in automatico e chi semplicemente sponsorizza se stesso.

    Saranno anche preconcetti, ma ho una specie di allergia per gli “account ufficiali” delle aziende

  5. Io sono dell’idea che Twitter abbia poco a che fare con le aziende. Twitter non nasce per fare marketing e ogni suo utilizzo per questo scopo è una forzatura 🙂

  6. Io uso twitter ogni giorno e mi piace molto come gli utenti condividono link, dubbi e domande. Sull’utilizzo di twitter per un’azienda rimango dubbioso come per facebook sembra che nonostante il numero di utenti e la frequenza di utilizzo il ritorno non sia commisurato agli sforzi. I punti da te segnalati sono senza dubbio doverosi per chi pensa di fare marketing su twitter ma credo che il contesto sociale diventa “difficile” per l’azienda, perchè l’utente finale può scegliere se seguire o meno i tweet (o accettare l’amicizia su facebook) e sicuramente gli utenti che accettano tutto ma non seguono o non partecipano non danno un ritorno oltre alla visita occasionale sul sito.

  7. @Vincenzo & @Matteo: Forse anche in questo dovrebbe risiedere la sensibilità di un approccio a Twitter per le aziende: come risultare interessanti senza scadere nella semplice self promotion? 😀

    “Io”, “io” “”io”, da sempre su Twitter non funziona.

    Sarebbe già un bel passo avanti ripensare la comunicazione sul pennuto in virtù di questa piccola consapevolezza.

  8. Ci ho pensato sopra tutto il giorno (si vede che sono in ferie e non ho un cazzo da fare eh…): che cosa può volermi dire di interessante un’azienda su Twitter?

    Ho provato a prendere come esempio l’azienda per cui lavoro: una catena di negozi di alimentari, per niente 2.0 (più vicina allo 0.2, ad essere onesto), e qualche idea mi è venuta in mente.

    Se scrivesse su Twitter qualcosa tipo “peperoni in offerta a 0,5€/kg” sarebbe la morte mediatica. Se invece ci fossero cose tipo “ricetta per un secondo leggero a base di peperoni” con un rimando all’eventuale blog aziendale in cui se ne parla, nel periodo in cui si mettono in offerta i peperoni, potrebbe essere già diverso.

    Sarebbe un mondo troppo ideale, però… 🙂

  9. Magari sarebbe fastidioso… ma se su Twitter un supermercato twittasse una cosa simile al prezzo sui peperoni… mmmhhhh.

    50 cent al kilo per i peperoni non è niente male.

    E se fosse 30 centesimi, ‘solo per oggi’?

    MAGARI. Con quello che costa la vita se i supermercati di zona si mettessero a fare guerrilla marketing a partire da Twitter io followerei tutti i commercianti di Roma est….

    La mia compagna è una vorace lettrice dei depliant pubblicitari dei supermercati che fanno offerte a ribasso… figurati…

    Naturalmente concordo sul fatto che sarebbe … ridicolo, magari. Ma come ha fatto l’Atac di Roma potrebbero fare moltissime aziende, pubbliche e private.

    Io ho ricambiato il follow di molte delle aziende sbarcate su Twitter (come Ikea e Atac, per esempio).

    Sono stati i twitters ‘aziendali’ a venire a cercare i profili twitter dei marketers, non il contrario… chissà, magari alcuni hanno capito che la comunicazione dai pochi ai molti è in via di estinzione….
    Ottimo Gavello, piuttosto.

  10. Il prezzo era, ovviamente, messo a casaccio 🙂 Per restare nell’esempio, non sono certo che un twit del genere per un’offerta “solo per oggi” possa evere molto senso in Italia. E’ molto più facile farsi dare numero di cellulare e autorizzazioni varie per la privacy (in fondo lo si fa già con le varie carte fedeltà) e mandare un SMS: con un po’ di buon senso (=pochi messaggi e buoni) potrebbe avere più successo.

    Diciamo che manca la “massa critica” di utenti Twitter mobili, oltre al solito problema dell’overload informativo per quelli che lo seguono anche continuamente davanti al PC. Non potendo suddividere in gruppi gli utenti che seguo, mi è difficile distinguere gli utenti “dialoganti” da quelli “pubblicitari”.

    Boh, la questione è complessa e si, bravo Francesco! 🙂

  11. Sinceramente non condivido l’utilizzo di twitter da parte delle aziende perchè sono convinto che la maggior parte di queste (se non la totalità) lo facciano solo per pubblicizzare i propri prodotti e i propri servizi.

    Viviamo su un web stracolmo di banner e inserzioni pubblicitarie, avere questo stress anche su un utilissimo e pulito strumento come twitter potrebbe farli perdere valore.

    Le aziende difficilmente interagiranno con i propri followers perchè ciò implica uno spreco di risorse umane. Ancora non è ben chiara ai fini strategici l’importanza di ricevere feedback da parte degli utenti finali sui propri prodotti/servizi. Per questi motivi le aziende sono spinte ad utilizzare twitter o più in generale i servizi di social networking solo ed esclusivamente per promozione pubblicitaria.

    Per questa mia convinzione non seguo alcun azienda su twitter.

  12. Questa della presenza su Twitter è una cosa su mi interrogo da tempo.

    In aggiunta a quello che ho già detto, posso dire di aver notato che in Italia Twitter è frequentato in modo primario da early adopters. Sono pochissimi i miei amici reali che lo usano, e questi sono tutti bloggers. Gli altri nel mio network sono marketers. Potrebbe essere questo il limite di Twitter qui nel belpaese? Che non è ancora un servizio di massa e che quindi una strategia per imprese di “largo consumo” è ancora prematura?