Di aratri, blogging e di come colui che non lo sa cambia le cose

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Ti voglio raccontare una storia.

La scorsa settimana mi trovavo seduto a tavola in un agriturismo piemontese. Ho sempre amato gli agriturismi per la loro intrinseca capacità a raccogliere al loro interno innumerevoli declinazioni del tempo che fu.

Si va dall’aratro piantato di fronte all’ingresso che ti fa sudare sette camicie al parcheggio, al vialetto rialzato tra i campi (non illuminato) che mette a dura prova le capacità di guida notturna dell’affamato avventore, sino a tutti i reperti più o meno storici provenienti da cascine, casolari e, per l’appunto, la vita rustica e genuina di un tempo.

Fin qui tutto bene.
Ma che diavolo c’entra con quanto solitamente scrivo qui, dirai tu?

C’entra, perché più o meno intorno al terzo primo ho cominciato a fissare la stampa rigorosamente autentica che avevo di fronte al tavolo, che recitava come in una delle vie oggi più trafficate e “in” del centro un tempo si vendessero trattori, trebbiatrici e macchine per la movimentazione del terreno.

Ci sto arrivando, ci sto arrivando.

Il fatto è che codesta stampa, seppur abile nel presentare con i termini del tempo le potenzialità e le marche rinomate trattate dalla ditta, si lasciava andare a un’organizzazione tipografica da mani nei capelli. Qualcosa che oggi non supererebbe la prima revisione dell’impaginatore meno esperto della terra.

Eppure, quello era probabilmente ritenuto il top.

Era ritenuto un volantino (gigante) di quelli da esporre in fiera. Da guardare orgogliosi perché, insieme a quelle frasi che andavano a capo senza un perché o a una scarsa cura per la coerenza tra una riga e l’altra, la mente aggiungeva ciò che mancava e il risultato non era poi così male.

Nessuno, al tempo, aveva probabilmente idea di quale potesse essere “l’opzione migliore”.

E il fatto sta un po’ tutto qui.

Spesso durante la nostra vita ci troviamo nella condizione di guardare a ciò che facciamo, a ciò che fanno gli altri e di pensare “beh, più di così non si può fare, anche gli altri (miei competitor) sono a questo livello”. Eppure ciò non vuol dire che si sia raggiunto l’effettivo limite. Spesso, anzi, il limite è ancora ben lontano dalle nostre possibilità e non lo concepiamo fino a quando non arriva qualcuno che, stolto, semplicemente lo supera.

Mentre scrivo mi scorrono in mente immagini di un iPad, ma solo perché la copertura mediatica in questo periodo è più alta del solito. Sarebbe ingiusto tirare in ballo la tavoletta di Cupertino come unico esempio di eccellenza nel campo del “migliorare qualcosa che tutti ti dicono essere già sufficientemente buono”.

Credo, soprattutto, che il concetto valga per chi -come te o come me- è mosso da una precisa passione e intende lavorare per renderla proficua, migliore, appagante. Quando ci spingiamo un po’ più in là, quando facciamo qualcosa che nessun altro ha ancora fatto (perlomeno non nei modi e nei tempi che scegliamo) apriamo le porte a concrete possibilità di successo. Rendiamo possibile il cambiamento, nel nostro piccolo. Non fosse altro perché ci allontaniamo progressivamente dalla mentalità del “tutto ciò che vedo è uguale a tutto ciò che posso fare”.

Vale tanto per una stampa centenaria, quanto per un blog.

Francesco Gavello

Francesco Gavello

Consulente, formatore e public speaker in Advertising e Web Analytics. Sviluppo strategie di Inbound Marketing per progetti web di grandi dimensioni. Appassionato da sempre di illusionismo, un’arte che ha molto da spartire con il marketing.

3 commenti

  1. Interessato dal titolo insolito mi sono fiondato a leggere. 😉

    Interessante la tua riflessione. Ed estremamente giusta. Però, sto pensando, fare una cosa un pò meglio di quello che solitamente si riuscirebbe a fare, non genera successo, credo. O meglio, non il successo che intendo io. C’è sempre qualcuno migliore che l’ha già fatta. Meglio.
    O se intendi una specie di successino personale, sono d’accordo per carità, ma quanto conta nell’ecosistema enorme e spietato che è la rete?

    Forse in un percorso di crescita personale e professionale ci di dovrebbe guardare con un’ottica “esterna”, confrontandosi con realtà più importanti, per evidenziare errori, mancanze, problemi.

    E’ solo un pensiero. Ma questo tuo post (forse scritto più d’impulso degli altri, sbaglio?) mi fa questo effetto e non penso lo farà solo a me.

    Alla prossima!

    1. Ciao Cifra, punto di vista condivisibile.

      Certo è che guardare al di là di quello che sembrano fare tutti credo sia sempre cosa buona; se non altro per non convincersi, appunto, di essere “già arrivati” e smettere di crescere.

  2. Premetto che condivido a pieno il punto di vista: dire “beh, più di così non si può fare” è l’inizio della stagnazione, il punto in cui si finisce di crescere.
    Però ci sono momenti professionali e personali in cui non si può fare di più davvero, in cui c’è bisogno di raccogliere le idee e fare quel salto di qualità possibile solo se ci si rimette in discussione, accettando di rivedere il propri punti di vista, incrementando le conoscenze aprendoci verso nuovi ambiti.
    A me succede periodicamente, e il dopo è sempre positivo.