Le aziende? sui social media sono …sorde

Stai parlando con me?

O almeno, questo è ciò che emerge dall’ultimo studio di Maritz Research and evolve24, in cui si rileva come più del 70% dei brand su Twitter non risponda alle critiche provenienti dai loro stessi clienti.

Premessa: Il report si può visualizzare da qui ed è prodigo di dati. Merita una lettura. 🙂

Era la scorsa settimana quando su Twitter è iniziato a circolare questo stesso dato. Risalendo alle fonti si può scoprire come dietro quel numerino (piuttosto significativo, peraltro) si nascondono altri interessanti ragionamenti.

La cosa che forse colpisce di più è l’aspettativa: il 51% degli utenti che hanno in qualche modo manifestato il proprio problema al brand via Twitter non si aspettava in alcun modo una risposta. Quasi metà degli utenti che criticano un brand su Twitter non si fanno grandi illusioni di essere ascoltati.

È interessante notare anche come la metà di questi utenti (con un leggero incremento al crescere dell’età) si dica pressoché certo che il brand finisca comunque per leggere la loro lamentela. Utenti in qualche modo coscienti della situazione e del loro essere ignorati.

Un panorama che fa il paio con un secondo studio, questa volta di Econsultancy, in cui si svela come solo il 5% dei brand su Facebook risponda ai messaggi che i propri clienti lasciano ogni giorno in bacheca. Per amor di statistica, questo valore è correttamente rapportato alla diverse dimensioni delle pagine fan.

E un pochino ti fa pensare.
Ti fa pensare a come gestire una criticità sia molto complicato mano a mano che la tua azienda cresce.

Come sia difficile, salvo aggrapparsi a qualche mente illuminata in posizione tattica, vendere una corretta gestione dei clienti scontenti che cercano soddisfazione tramite un social network. O almeno, questo è quello che mi immagino mettendomi nei panni del consulente di turno che cerca di sensibilizzare l’argomento.

Forse, quando il ROI non è direttamente calcolabile, decidere di investire ore/uomo “solo” per scovare e supportare tutti coloro che ci criticano online sembra come andare a stuzzicare un alveare. E già mi immagino quanto possa sembrare rassicurante invece cercare di convogliare le critiche verso sistemi più tradizionali. Un bel call center, magari. Forse una mail o un form da compilare per benino.

Mentre ciò che l’utente sa fare meglio, ovvero condividere le proprie esperienze (anche negative) con la propria cerchia di contatti, viene ignorato molto più di quanto si possa pensare.

Qualcuno genialmente la chiama sindrome da “Buon Compleanno”.

La sindrome da Buon Compleanno

Sai quando arriva il giorno del tuo compleanno su Facebook? Centinaia di persone riescono a farsi vive uscendo dalle pieghe del tempo per augurarti fortuna e gloria (cit.) elargendo sorrisi e pacche sulle spalle virtuali.

Poi, il giorno dopo, il silenzio.

È un po’ ciò che fanno i brand di cui sopra. Quando si tratta di dare il benvenuto a un nuovo utente, vuoi che sia la bio di Twitter o la welcome page di Facebook, è tutto rose e fiori. Qualcosa del tipo: “Siamo straordinariamente felici di averti tra noi, Francesco. La tua presenza conta molto per noi e tu come cliente sei tutto”.

Fino a quando le cose non vanno male.
E c’è da ascoltare.

Queste persone sono altamente motivate, spesso più arrabbiate della media e frustrate dal loro non essere in grado di farsi ascoltare. Davvero conviene fare orecchie da mercante? Quanto potrebbe guadagnare in quella moneta così eterea ma assolutamente spendibile chiamata credibilità un brand semplicemente facendosi vivo al momento giusto?

Francesco Gavello

Francesco Gavello

Consulente, formatore e public speaker in Advertising e Web Analytics. Sviluppo strategie di Inbound Marketing per progetti web di grandi dimensioni. Appassionato da sempre di illusionismo, un’arte che ha molto da spartire con il marketing.

8 commenti

  1. Il “vizio” di non rispondere e di evitare i problemi una volta incassati i soldi si è trasferito dall’offline all’online. L’assistenza post vendita è il punto debole di moltissime aziende. Penso invece che soprattutto nel web, da un disservizio si possa ricavare addirittura molta pubblicità positiva. Se il cliente sarà ascoltato ed il problema risolto, ciò verrà amplificato dal web e dai social media.

  2. A mio parere il giudizio dell’utente è la parte findamentale (dopo il prodotto) su cui un’azienda dovrebbe concetrare tutte le sue risorse. Un utente scontento va ascoltato, così da migliorare il servizio offerto e la reputazione online… il problema di un utente potrebbe essere il problema di migliaia di utenti.
    Trovo stupido che le aziende aprano account social se poi non sono disposte a dedicarci tempo. Spesso leggono le critiche e poi? Poi niente. Perdono credibilità, fiducia e utenti.
    In un mondo (almeno in Italia) dove questo è il trend, basterebbe concentrare un po’ di energie per emergere, dedicando tempo all’utente e ai suoi fabbisogni. Quindi basta davvero poco per acquistare una buona credibilità, basta saper ascoltare e rispondere, non far finta di niente…

    E’ pur vero che ormai siamo (erroneamente) rassegnati, sappiamo già che nessuno risponderà alle critiche… così spesso non le facciamo neanche, probabilmente le aziende puntano a questo.
    Ti faccio un esempio pratico:
    Ho richiesto a WindJet una compensazione monetaria per un volo che ha accumulato 7 ore di ritardo… è da due mesi che attendo una minima risposta (ho sollecitato molte volte), mi basta anche un semplice “non ti diamo niente”… e invece niente di niente.
    In questo modo l’unica cosa che posso fare è informare gli altri utenti di ciò, facendo perdere di credibilità all’azienda stessa.
    Se invece mi avessero risposto, sicuramente avrebbero guadagnato in credibilità, e quando parliamo di colossi del genere… la posta in gioco è alta!

    Cosa consigli ad un’azienda che vuole aprire un account social riguardo alla gestione dell’utente?

    1. Leggevo giusto oggi l’articolo di Enrico su Sestyle dedicato ad Alitalia (http://www.sestyle.it/2011/social-media-e-customer-service/), che si trova più o meno nella stessa condizione descritta sopra.

      Il punto è che spesso ciò che appare evidente a chi è del mestiere può essere molto difficile da immaginare, o interpretare, da chi non lo è. Spesso ci si limite a “grattare la superficie” di un canale di comunicazione, ci si ritiene soddisfatti se non succede nulla di eclatante in risposta, quando invece decine di utenti stanno cercando di parlare con te ma tu stai guardando altrove.

      Vogliamo dire che le aziende dovrebbero cominciare a dare il giusto peso ai social media? A intenderli come canali di dialogo a doppio senso più che mera presenza quantitativa? Suonano banalità, ma il succo è questo. 🙂

      1. Sono d’accordo con il tuo “succo” 🙂 Purtroppo credo che ciò non avverrà mai, le aziende ( o meglio i capi delle aziende ) sono troppo attaccate ai soldi, pensano solo a guadagnare guadagnare e guadagnare, producendo e vendendo il loro prodotto… ma non capiscono (anzi, capiscono ma non vogliono spenderci i soldi) che il feedback dell’utente e la comunicazione a doppio senso valgono come il prodotto che offrono al pubblico, se non di più!

  3. Forse un altro degli aspetti è proprio la delega. Maggiore è l’autonomia del tuo primo contatto (colui che mi risponde su Twitter, chi cura la pagina fan), maggiore è il risultato e la soddisfazione per l’utente.

    Se per contattare un brand mi arriva una risposta su Twitter entro un paio d’ore, ma poi per capire il problema, affrontarlo e forse darmi una risposta “valida” devo passare attraverso i soliti vecchi canali allora meglio evitare del tutto la presenza in questione.

  4. Sono dati americani, immagino i nostri siano disastrosi al confronto. La realtà è che su social c’è molta moda ma poca consapevolezza. Al massimo viene trattato come ulteriore canale di call center outbound e poco inbound.
    E’ vero però che rispondere a tutti richiede investimenti ingenti e forse non giustificati. Ho visto a sorpresa Rio Mare rispondere ad alcune lamentele su Facebook ma dopo che queste erano diventate parecchie (tra l’altro tutte con copia e incolla frutto del passaparola, e non erano poi tante visto il potenziale del mezzo).
    Per mia esperienza spesso sui social le aziende aprono senza strategie, tanto per esserci (e curiosamente strapagano per farsi fare e gestire pagine inutili).
    In certi contesti non hanno però tutti i torti. Spesso l’utilizzo che le persone fanno dei media è una banale condivisione senza approfondimento. Sono d’accordo che le aziende dovrebbero ascoltare, ma dall’altra parte non c’è molta gente che dica cose interessanti.